Il tema del contributo da parte dei cosiddetti “big tech” negli investimenti sulle reti mobili e fisse di nuova generazione si conferma ormai da qualche tempo argomento di attuali. L’ennesima puntata del braccio di ferro che vede gli operatori di telecomunicazioni da un lato e le varie Netflix, Amazon, Google, Meta (azienda a cui fanno capo Facebook, Instagram e WhatsApp) e compagnia dall’altro si è svolto oggi, con una lettera indirizzata all’Unione Europea e firmata da alcune delle più importanti aziende di telecomunicazioni europee tra cui figurano anche TIM e Fastweb per l’Italia.
I due operatori, insieme a Swisscom, Orange Group, Deutsche Telekom e Vodafone, hanno chiesto per mezzo dei rispettivi dirigenti che le grandi piattaforme online di contenuti contribuiscano allo sforzo economico che la realizzazione delle reti in fibra ottica e il 5G stanno richiedendo e richiederanno nei prossimi anni ai gestori delle reti.
L’appello, firmato anche da Pietro Labriola per TIM e da Alberto Calcagno per Fastweb, fa leva sull’enorme volume di traffico che servizi come Facebook, Google, YouTube, Instagram, Prime Video e Netflix, giusto per menzionarne alcuni, generano quotidianamente sulle reti degli operatori.
Si tratta di una quantità elevata di dati che viaggiano da un capo all’altro del pianeta e che negli ultimi anni è in continua crescita, visto il successo che social network e servizi in streaming riscuotono presso tutto il pubblico.
I soldi che i grandi nomi dell’industria tecnologica sono chiamati a versare serviranno a rendere le reti europee più efficienti, meno energivore, più sicure e più capillari. In altre parole, si chiede di contribuire a migliorare la qualità generale delle connessioni fisse e mobili di nuova generazione.
Chiamata più volte in causa negli ultimi tempi, la Commissione Europea sembra essere intenzionata ad approfondire la questione e per questo sta organizzando una serie di incontri con tutte le parti in causa per capire se e come intervenire sulla questione. Le consultazioni dovrebbero iniziare l’anno prossimo e saranno sicuramente fondamentali per indirizzare le future politiche europee in tema di telecomunicazioni.
Le richieste degli operatori trovano l’ovvia opposizione delle aziende tecnologiche, con Google che ha risposto per mezzo di Matt Brittin, presidente business & operations per l’area EMEA dell’azienda di Mountain View:
Non è un’idea nuova e sconvolgerebbe molti dei principi di Internet aperto. Tali argomenti sono simili a quelli che abbiamo sentito 10 o più anni fa e non abbiamo visto nuovi dati che cambino la situazione. E potrebbe avere un impatto negativo sui consumatori, soprattutto in un momento di aumento dei prezzi. Nel 2021 abbiamo investito oltre 23 miliardi di euro in spese in conto capitale, gran parte infrastrutture.
Secondo il dirigente di Google, l’azienda americana ha già dato il suo contributo al miglioramento tecnologico delle reti costruendo sei nuovi data center europei, posando venti cavi sottomarini in tutto il mondo, di cui cinque in europa, e realizzando delle apposite cache dei contenuti digitali in venti diverse località europee per favorirne la distribuzione agli utenti senza sovraccaricare eccessivamente le reti degli operatori.
Per completezza d’informazione va precisato che a fare pressione sull’Unione Europea sono alcuni dei grandi gruppi di telecomunicazioni, mentre si registra la contrarietà degli operatori virtuali, che di recente si sono ufficialmente opposti alla richiesta di far pagare alle big tech lo sviluppo delle nuove reti in quanto a loro dire sussisterebbe il rischio di uno squilibrio del mercato.